La corsa - Le Olimpiadi d'Italia

LE OLIMPIADI D'ITALIA
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La corsa

ROMA 1960 > LE GARE > Atletica > Maratona

Nel punto di raccolta, alla sommità della scalinata del Campidoglio, 69 fondisti si stavano riscaldando, prima della partenza della Maratona, tra di loro un piccolo africano tutt'ossa che correva a piedi scalzi. Ma come faceva qualcuno a pensare di poter correre senza scarpe, si chiedevano tutti. Erano le cinque e un quarto di sabato 10 settembre, ultimo giorno di gare alle Olimpiadi di Roma. Le informazioni che circolavano presentavano tre ingesi, due neozelandesi, due sovietici ed un marocchino come i più probabili candidati alla composizione del gruppo di testa.

Il percorso prevedeva la partenza dal Campidoglio poi, dopo aver girato attorno all'obelisco di Axum, si raggiungeva la via Cristoforo Colombo fino all'incrocio con il raccordo anulare per toccare via Laurentina, via Ardeatina e tornare indietro attraverso l'Appia Antica, la Tomba di Ceciclia Metella, chiesa del Domine Quo Vadis, Porta San Sebastiano ed arrivo all'Arco di Costantino. Nessun'altra maratona, a partire dalla prima del 1896 ad Atene, aveva offerto una tale ricchezza di tradizione storica; il percorso era in buona parte un giro spettacolare nella storia dell'antica Roma. Nello stesso tempo, però, nessun'altra maratona sfidò così apertamente le tradizioni delle Olimpiadi moderne. Le maratone, di solito, si correvano alla luce del giorno e si chiudevano con l'ingresso dei corridori nello stadio più importante, dove ad attenderli c'era una folla osannante. Nel calore romano, la corsa ebbe inizio al tramonto e proseguì sino a sera, per concludersi non nello Stadio Olimpico, ma all'Arco di Costantino, in mezzo alle rovine dell'antica Roma.

Campidoglio

Via Appia

Cecilia Metella

San Sebastiano

Arco di Costantino

Nella prima parte della gara, il gruppo era guidato dal britannico Kelley seguito dal marocchino Abdessalem. Ci fu battaglia per i primi chilometri, quelli che portavano i concorrenti dalla Colombo all'Ardeatina e i vari Popov (URSS), Magee (NZ), McKenzie (USA) si alternavano alla testa della corsa, fino a quando una strana e magnifica scena si aprì agli occhi dei corridori: l'Appia Antica ed un migliaio di soldati che stazionavano sulla strada a dieci metri l'uno dall'altro con in mano delle torce, un'illuminazione umana. In basso i ciotoli di un manto stradale sconnesso, ai lati cipressi e antiche rovine.

Ora tutti erano concentrati su due piccole figure che si muovevano nella notte davanti a tutti: Ben Abdessalem e Abebe Bikila.  Correvano fianco a fianco, con i numeri 185 e 11. Il duello tra i due africani continuava passo dopo passo, fino ad oltre la chiesa del Domine Quo Vadis ed oltre la porta di San Sebastiano. Fu lì che Rhadi provò ad accelerare, ma Bikila non si fece sorprendere e partì al contrattacco riuscendo a rimanere solo al comando. Poi, improvvsamente, la strada si allargò e sullo sfondo appave l'Arco di Costantino, lucente sul fondo oscuro della notte.

Abebe correva sul lato destro della strada, un'ombra proiettata dalle luci stroboscopiche correva insieme a lui, l'ultimo dei compagni che fosse riuscito a tenere il suo passo e, nei passi conclusivi, la sua ombra gli balzò avanti, gettandosi sulla linea d'arrivo. I tempo era di 2 ore, 15 minuti e 16 secondi.

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